Introduzione
Il cammino del cristianesimo in Cina è stato molto complesso. Quello del cattolicesimo in particolare ha conosciuto profonde cesure ed è ricominciato diverse volte: dopo l’antica evangelizzazione nestoriana, alla fin del Medioevo sono arrivati in Cina i francescani, tra fine Cinquecento ed inizio Seicento i gesuiti e nell’ Ottocento è iniziata una penetrazione missionaria cattolica intrecciata all’azione colonizzatrice europea.
Già in precedenza, l’opera evangelizzatrice della Chiesa cattolica era stata sostenuta ma anche controllata dalle potenze europee, come evidenzia il ruolo svolto dal padroado portoghese sull’ Estremo Oriente. Dopo la guerra d’oppio, la Cina fu costretta a stipulare una serie di Trattati Ineguali con le Potenze Estere, tra cui quelli trattati con la Francia al rigurado piuttosto alle missioni della Chiesa Cattolica in Cina furono: Tratatto di Tian Jin (《中法天津条约》) nel 1858, Tratatto di Pekino《中法北京条约》 nel 1860, e Convenzionedi Berthemy (《柏尔德密协议》) nel 1865.
Questi trattati imposta alla Cina dalle Potenze Estere fecero la Cina perdere un immenso territorio e le indennita’ enormi rappresentando un tipo di situazione schiavitu’ alla Cina, per cui essa non si trova su un piede di eguaglianza con le alter Nazioni; Al contrario, attraverso i quali le Potenze Estere godovono invece una serie di privileggi speciali che riguardavano: l’estraterritorialità, giurisdizione consolare, le concessioni, il controllo delle Dogane.[1]
Da parte della Chiesa Cattolica, tali trattati, dopo due decreti rigidissimi pubblicati rispettivamente nel 1716 e 1720 per la proibitazione delle predicazione del vangeli grazie al maledetto Conflitti dei Riti(“礼仪之争”)tra Celeste Impero e Roma, concedevano finalmente la piena libertà di propaganda religiosa e il diritto alle missioni di possedere dei beni, affidando alla Francia il Protettorato sulle missioni e cioè il diritto di intervenire su tutte le questioni che riguardavano i cristiani in Cina, sia stranieri sia autoctoni.
Ma questa devoluzione della protetrice, accompagnato da una serie di privileggi e diritti provenuti dai trattati ineguali che venne fatto tra Franica e Cina, contemporaneamente, la Chesa Cattolica si tenne conto di avere infortunatamente diventata l’ostaggio delle interesse plomatiche della Francia, nella consequenza, “il Protettorato e’ consederato non come un servizio della Francia alla Chiesa; ma come un servizio della Chiesa alla Francia”[2]. cio’ creo’ infiniti noie e impicci per lo sviluppo della Chiesa Cattolica in Cina negli anni successivi. Questa grande dilemma seguiva sempre come una fantasma fin dall’inizio degli anni 40 del ‘800 fino alla stibilizione del trattato diplomatico con la Cina e liberarsi dal Protettorato francese completamente.
Verso la fine della dinastia Qing, soprattutto durante il governo dell’Imperatore Tongzhi (同治) e Guangxu (光绪), la Francia sostenne molte cause dei cristiani in Cina e i ministri, consoli e vescovi francesi intervennero spesso negli affari interni dei governi locali in Cina. Questi interventi furono anche tra le cause della famosa rivolta dei Boxers. Nella corte imperiale non erano rare le persone che raccomandarono di istituire relazioni diplomatiche direttamente con la S. Sede, ma i tentativi in questo senso del 1886 e del 1918 vennero bloccati dal governo francese.
Per cambiare in profondità la situazione, proseguendo sulla linea già tracciata da Benedetto XV, subito dopo la sua elezione Pio XI inviò in Cina nel 1922 mons. Celso Costantini, con il titolo ufficiale di Delegato Apostolico ma con l’ obiettivo di svolgere anche un ruolo informale stabilendo contatti con il governo cinese.
Come Delegato apostolico, il compito principale di Costantini fu di applicare gli istruzioni della lettera apostolica Maximum illud del Papa Benedetto XV sull’indigenizzazione della Chiesa, sulla valorizzazione del clero locale, sulla subordinazione degli interessi dei paesi di origine dei missionari a quelli della Chiesa e sulla non colonizzazione dei territori di missione.
Dopo il suo arrivo, egli si rese conto che tra le potenze estere, i Belgi , gli Spagnoli e gli Irlandesi non avevanno mai sollevato la questione del Pretettorato, i tedeschi e gli Austriaci hanno perduto I diritti di extraterritorialità grazie al sconfitto nella prima Guerra Mondiale, mentre la Protezione Italiana si fondo’ sul principio della cittadinanza[3], invece solo il protettorato francese su quelle missioni costituiva un problema grave per la Chiesa cattolica, come lo erano ancora i Trattati ineguali: in tale modo, infatti, la Chiesa appariva una potenza politica e questo oscurava il vero spirito del Cattolicesimo, rendendo impossibile l’indigenizzazione. Egli constatò che, sotto l’influenza delle potenze estere si erano verificati alcuni elementi che condizionavano la vita della Chiesa della Cina:
1) La Chiesa era concepito un strumento delle potenze estere o dell’imperialismo e, quindi, non come religione universale e cattolica, bensì come una religione straniera;
2) i missionari stranieri non volevano rifiutare i privilegi politici ed i vantaggi economici derivanti dalle protezioni diplomatiche e non volevano lasciare spazio al clero indigeno;
3) il cattolicesimo era male rappresentato da neofiti cristiani che si erano uniti alla Chiesa per avere protezioni o aiuti materiali dai missionari; tra questi c’erano anche delinquenti che ottenevano spesso il patrocinio dei missionari presso i tribunali cinesi in favore dei catecumeni e dei cristiani. Nei primi anni del Novecento, il numero dei fedeli aumentò, ma il loro livello culturale diminuì.
Tutto ciò suscitò attriti ed ostilità nei confronti della Chiesa cattolica ed ostacolò la diffusione dell’evangelizzazione in Cina. Per evitare questi gravi problemi, Costantini evidenziò sopratutto l’urgenza di promuovere attivamente e agilmente l’indigenizzazione della Chiesa cattolica in Cina adottando una serie di provvedimenti.
1) Occorreva mantenendo, negli affari religiosi, la piena libertà d’azione e superare l’identificazione con le potenze estere. Per esempio, visitando le autorità cinese sia centrale che locali egli aveva rifiutato tante richieste dei ministri o consolari esteri, soprattuto dei francesi, di accompangarlo; poi contro la Scuola “Tao Ming(道明)” iniziativa dal Coadiutore di Pechino, Mons. Fabreques(富成功) in cui si era messo essenzialmente al servizio della propaganda di Francia[4]; addirittura la residenza del Delegato apostolico venne perciò collocata fuori del territorio delle Legazioni per non offendere il sentimento cinese.
2) Eseguendo le istruzioni molte volte ripetuto dai Pontefici di costruire la Chiesa indigena non una colonia religiosa appoggiata dalle potenze estere; svincolò la Chiesa dagli interessi europei.
3) Eliminando il nazionalismo diffuso tra i missionari, Costantini disse che questi dovevano essere apostoli di Cristo, senza l’obiettivo di occidentalizzare le diocesi dove si trovavano.
4) Di fronte alla nuova identità politica della Cina, dalla nascita della Repubblica nazionalista al Movimento del 4 maggio(1919, “五四”运动), dai movimenti anti-tradizionali e anti-cristiani alla Spedizione al Nord (1926-1928,“北伐”战争), Costantini pensò che la Chiesa cattolica dovesse affrontare positivamente la crisi della Cina per portare un grande contributo alla sua rinascita con il metodo dell’adattamento, come prevedevano le reiterate dichiarazioni della S. Sede.
5) Egli applicò il metodo d’adattamento alla cultura cinese in molti campi. Un aspetto da lui particolarmente curato fu l’adattamento in campo culturale e artistico. Secondo Costantini attraverso l’arte si doveva cristianizzare non europeizzare, perciò si dovevano adottare forme artistiche locali.
6) Basando sulla metodologia della Chiesa primitiva, dell’apostolo Paolo e del grande gesuita Matteo Ricci. Egli impose personalmente i nuovi metodi missionari, cioè, egli ribadì l’urgenza di adottare non solo il metodo intensivo, che è rivolto specialmente alla conquista delle classi colte, ma anche il metodo estensivo, che è rivolto alla conquista delle masse.[5] Per migliorare la formazione del clero cinese e i fedeli indigeni, venne fondata l’Universita’ cattolica di Pechino (Fu Jen Daxue) nel 1927 sotto l’aiuto e la guida di Costantini, approvata dal governo cinese e con sede nella capitale, Pechino. I cinesi furono colpiti da questi risultati culturali dei cattolici.
Tutte queste caratteristiche dell’opera di Costantini e i cambiamenti radicali verificatisi nella vita della chiesa in Cina negli anni ’20 e ’30 del XX secolo ne fanno un periodo di particolare vitalità e dunque anche di grande interesse per la comprensione della storia della Chiesa in Cina lungo tutto il corso del ‘900.
Dagli suddetti fatti si capisce che C. Costantini fu un fedele esecutore delle direttive provengono dalla Santa Sede, che specialmente nella lettera apostolica "Maximum illud" e nell’Enciclica "Rerum Ecclesiae" avevano prescritto norme chiare da seguirsi nell'opera delle missioni, ma comtemporaneamente egli non era schiavo delle convenzioni, praticamente, egli serpeggiava sempre negli ostacoli creati dal Protettorato francese anche dagli odi e malintesi dei cinesi, sia il governo che i popoli.
Seguendo questo nuovo metodo missionario, Costantini fece gli sforzi assidui per l’incultura della Chiesa cattolica in Cina, di consequenza, conquistò una serie di successi nel decennio in cui svolse il suo incarico.
In qualità del Deletato Apostolica, C. Costantini considerava il problema sempre da un punto di vista piu’ alto e generale, con riguardo piuttosto al futuro che al presente, riguardo alle missioni ed alle relazioni con la Cina e con le potenze estere, evito’ di tendere ad afferrare la possibilità del momento, senza guardare avanti e lontano. Egli sempre sognava di stabilire trattato diplomatico, oppure almeno una convenzione transigente, dedico’ di dissolvere le controversie e dal punto di vista giuridica e di norma. Egli ha fatto tante cose in riuscita e incontro’ anche certe vole i fallimenti, ma queste sconfitte non era la colpa sua, la situazione della Chiesa cattolica in Cina sia molto complessa. Il tempo alla fine limitava il suo desiderio e la capacità, ma il suo sforzo non può essere ignorato. Gli undici anni da lui trascorsi in Cina provano la sua fedeltà alla Chiesa e al popolo cinese. L’opera ed i tentativi di Costantini in Cina mostrarono inoltre che il cattolicesimo è una religione veramente universale.
Nei primi decenni del Novecento, la Chiesa cattolica ebbe uno sviluppo rapido, con dieci anni d’oro, nonostante la situazione cinese fosse molto complicata e pericolosa. Secondo i documenti del 1933, si comprende che questo grande sviluppo delle opere della Chiesa fu attribuito alla modificazione strategica introdotta dalla S. Sede nelle missioni. Ma tra il 1945 e il 1949, la conseguenza della Guerra di liberazione, sorprese e dispiacque ad ogni potenza che non voleva vedere la vittoria del partito comunista. Dopo di che, lo sviluppo della situazione fu sfavorevole alla Chiesa della Cina. Alcuni contraddizioni tra il governo comunista e la Chiesa cattolica erano difficile di venire ad un compromesso.
Durante la rivoluzione culturale, la Chiesa cattolica entrò in una situazione di clandestinità. Ma è innegabile che la Chiesa indigena aveva già piantato le sue radici profondamente nella società cinese e, a causa del movimento dell’indigenizzazione e dell’incultura degli anni venti del novecento, essa evitò di essere annientata, come era già successo durante le dinastie Tang, Yuan, Ming e Qing. Questo successo va a merito alle direttive della S. Sede dei primi anni del Novecento e all’applicazione decisa e agile che ne fece Costantini.
Questo saggio dedicarebbe particolarmente alle esperenze ed ai contributi di C. Costantini ai nuovi metodi missionari della Chiesa Cattolica in Cina degli anni 20-30 del novecento, dalla formazione del clero indigeno e dei missionari esteri, la fondazione dell’Università Cattolica di Pechino,della Congregazione dei Discepoli del Signore (CDD), la prima congregazione cinese fondata da il pri mo Delegato Apostolico, all’adattamento alla cultura cinese e la promozione dell’arte indigena, per metter in luce quali metodi missionari sono stati seguiti da C. Costantini per promuovere sia l’indigenizzazione sia l’incultura della Chiesa Cattolica in Cina e perché essi sono necessari e nuovi.
I. La nuova identità politica cinese e la risposta della Chiesa cattolica
Osservando la situazione delle missioni in Cina in quegli anni, Costantini giunse ad alcune conclusioni sui difetti delle missioni. Secondo il suo parere, a tali missioni, in quel tempo non era mancata la santità, il martirio, il lavoro e lo zelo, la scienza, la ricchezza e neppure l’aiuto diplomatico, ma era mancato soprattutto il metodo apostolico che fa radicare la Chiesa autoctona, insieme alla gerarchia indigena, sebbene esistesse da tempo un clero cinese.[6]
Il metodo apostolico su cui Costantini pose l’accento ripetutamente nei sui ricordi fu proprio il metodo dell’adattamento, per creare una Chiesa indigena, seguendo gli obiettivi e le istruzioni della S. Sede. In un suo discorso, tenuto all’Università Cattolica del Sacro Cuore nel 1931, Costantini affrontò dettagliatamente il tema della metodologia missionaria, osservando che “nel campo missionario, di solito, si adoperano due metodi: quello intensivo e quello estensivo"[7]. Il metodo intensivo è rivolto specialmente alla conquista del pensiero e, cioè, a raggiungere le classi colte, mentre il metodo estensivo è rivolto specialmente alla conquista delle masse. Infatti, il metodo intensivo “mira alla qualità e potrà pure dirsi metodo qualitativo”[8] , il metodo estensivo “mira alla quantità, e potrà anche chiamarsi metodo quantitativo.”[9]
Costantini tenne conto che in Cina i protestanti avevano adottato generalmente il metodo intensivo, miravano cioè alla conquista delle classi colte. Ad esempio, in quel periodo, le Chiese protestanti, molto più della Chiesa cattolica, davano importanza all’educazione e, perciò, nel primo governo nazionalista di Canton si ebbero almeno 5 ministri protestanti. Perfino il fondatore della repubblica, il dott. Sun Yat-sen (孙中山Sun Yixian), “aveva aderito a una confessione protestantica”[10]. Senza dubbio, tale situazione ampliò notevolmente l’influenza delle Chiese protestanti nei primi anni della Repubblica e, poco dopo, proprio considerando questo problema, i gesuiti di Shanghai fondarono l’Università Aurora (震旦大学 Zhendan daxue). Invece, a causa del fortissimo spirito congregazionistico allora tanto diffuso, il progetto dei gesuiti di stabilire un’altra Università a Pechino andò in fumo per l’opposizione dei padri Lazzaristi.
Per migliorare tale situazione, Costantini propose un nuovo metodo missionario: adottare non solo il metodo intensivo, ma anche il metodo estensivo a seconda delle circostanze[11]. Tale opinione però si rivelò un principio astratto. In realità, per evangelizzare le diverse classi sociali cinesi, per conquistare completamente i cuori del popolo cinese, si dovevano affrontare soprattutto tre sfide: una riguardava la nuova identità politica cinese, la seconda la necessità di una adeguata formazione del clero indigeno e dei missionari; l’ultima l’adattamento del Cristianesimo alla cultura cinese.
E’ anzitutto necessario analizzare come Costantini affrontava il problema della nuova identità politica cinese. Dal 1911 fino all’inizio degli anni Trenta, la Cina, da una parte, soffriva di una grave crisi ma, dall’altra, viveva una dolorosa rinascita[12]. In seguito alla fondazione della Cina Repubblicana e all’importazione del pensiero, della scienza, della democrazia e del comunismo dai paesi occidentali, la Cina cominciava infatti ad essere coinvolta in una grande riforma. Tale cambiamento era profondo e globale, sia sul piano politico, sia sul piano della civiltà. Insomma – come scrisse lo stesso Costantini – non “si trattava di una crisi di regime, ma della crisi di una civiltà ultramillenaria, che si decompone lentamente, maturando, in un immenso travaglio, una rinascita”.[13]
La completa vittoria dell’esercito del Governo nazionalista aveva suscitato una serie di conseguenze: dopo una lunga fase di sconvolgimenti, la Cina entrava ora in un periodo delicato di convalescenza. Quasi tutte le “potenze estere”, una dopo l’altra, erano andate a Nanchino per stipulare nuovi patti col Governo Nazionalista[14] e i nazionalisti non vivevano la loro vittoria solo come sconfitta del vecchio regime della dinastia Qing: “soprattutto era una vittoria contro la diplomazia coalizzata delle Potenze occidentali verso la Cina”[15]. Naturalmente questa vittoria destava l’entusiasmo nazionalistico dei cinesi, che si sentivano liberati dai vincoli di servitù in cui erano stati tenuti dalle potenze estere e tutte le confessioni protestanti, salvo rare eccezioni, si misero rapidamente dalla parte della nuova Cina, dichiarando di rinunciare ai vecchi privilegi dei Trattati ineguali ed anche importanti leader religiosi di altre religioni come il Panchan Lama, una delle guide del buddismo tibetano, e Ma Fushan, il più eminente generale mussulmano, si pronunciarono nello stesso senso.[16]
Davanti al risveglio nazionalistico della Cina, l’atteggiamento della Chiesa cattolica non fu univoco. Alcuni circoli missionari, soprattutto francesi, non riconobbero la necessità di rompere la connessione con la vecchia politica di privilegi. Non pochi missionari mantenevano una mentalità arretrata sia verso la nuova Cina, sia verso le istruzioni della S. Sede e della Delegazione apostolica. Circolavano libri come “Le Christ en Chine”,[17] scritto da p. Garnier, od opuscoli, articoli e lettere, come un opuscolo anonimo pubblicato in Francia con il titolo “Un péril mondial. Le fascisme catholique exotique” contro il delegato apostolico, p. Lebbe[18] e contro quei missionari che promuovevano l’indigenizzazione delle missioni in Cina. Inoltre, nelle scuole delle missioni spesso si insegnava agli studenti cinesi l’amore per i paesi di provenienza dei missionari[19]. Tutto ciò, a parere di Costantini, rivelava soprattutto i limiti del vecchio metodo missionario, poiché in realtà, i missionari, “presi uno a uno, sono delle eccellenti persone”[20]. Egli non dubitava che, col progredire del tempo, questo vecchio metodo missionario avrebbe subìto una profonda crisi e alla fine si sarebbe rivelato perdente.
La Santa Sede fece sentire la sua voce e in data 1° agosto 1928, Pio XI pubblicò un magnifico messaggio indirizzato ai vicari apostolici ed al popolo cinese. “Questo documento - scrisse Costantini - serve a scindere l’opera delle missioni dalle Rappresentanze dei governi esteri”[21]. Esso dimostrava al popolo cinese che la Chiesa cattolica non era nemica del progresso, della rinascita politica della nazione cinese ed che le missioni non erano uno strumento delle cosiddette potenze imperialiste. Il documento ebbe una grande importanza anche politica, non solo nel diminuire malintesi che si trascinavano da lungo tempo, ma anche nel gettare un ponte tra la S. Sede ed il governo cinese. Contemporaneamente, il messaggio papale aumentò l’unità tra i cattolici cinesi riconoscendo la loro dignità di cristiani e di cittadini.[22]
Costantini approvò il documento della S. Sede, non solo in quanto Delegato apostolico ma anche per profonda convinzione. Infatti, “la sensibilità missionaria di Costantini prese le mosse dalla convinzione, sempre più condivisa in quel periodo, che la Chiesa in Cina dovesse superare l’identificazione sia con le potenze straniere che con la stessa cultura occidentale, per realizzare finalmente un incontro profondo tra cristianesimo e cultura locale”[23]. Perciò, oltre ad eseguire decisamente ed agilmente le istruzioni pontificie, egli prestò molta attenzione alle varie situazioni cinesi con ampie vedute e sguardo lungimirante. In una intervista, rilasciata ad un redattore del bollettino dell’Associazione cattolica di Washington, durante un suo viaggio in America nel 1931, Costantini espresse la sua valutazione del movimento rivoluzionario verificatosi in Cina: “il presente movimento rivoluzionario in Cina non è che il risultato dell’evoluzione del pensiero cinese odierno. E’ il risultato di una lunga elaborazione di idee e sorge dal recente contatto e dalla mutua influenza fra la civiltà occidentale e l’antica civiltà e cultura cinese.”[24]
Nonostante la Cina fosse nel pieno degli sconvolgimenti del movimento rivoluzionario, Costantini, colse l’occasione per esprimere il suo dissenso dall’opinione occidentale corrente che giudicava i cinesi come una razza crudele e dimostrò la sua profonda simpatia verso il popolo cinese, prima vittima della rivoluzione, definendolo “un popolo mite e tollerante, industrioso e ospitale, di buoni principi naturali”[25].
Di fronte a queste nuove circostanze, Costantini pensò che la Chiesa cattolica dovesse affrontare positivamente la crisi della Cina per portare un grande contributo alla sua rinascita con il metodo dell’adattamento, come prevedevano le reiterate dichiarazioni della S. Sede. In linea di principio, ha scritto Costantini, il missionario “non ha nessun pregiudizio politico o culturale contro la nuova Cina. (…) E, in un leale rispetto alle legittime aspirazioni del popolo Cinese e nell’ambito delle leggi, egli desidera portare il proprio contributo alla rinascita della Cina”[26]. Di fronte a situazioni nuove, molti missionari si mostrarono effettivamente all’altezza di questo difficile compito ed ottennero una serie di fruttuose conquiste. Ad esempio, i padri del Concilio di Shanghai “avevano indovinato e prevenuto il tempo, dettando norme sapientissime riguardo alle scuole, alla stampa, alla gioventù studentesca, volendo che fosse istituita una commissione apposita e permanente per occuparsi di questi gravi problemi.”[27] In seguito, i gesuiti francesi constituirono due importanti Istituti di studi superiori: la già citata Università “Aurora” di Shanghai e l’Istituto di alti studi industriali di Tianjin. A Tianjin, essi avevano un famoso museo paleontologico, botanico ed etnografico, mentre a Shanghai dirigevano gli osservatori meteorologici, astronomici e sismografici ecc. Inoltre, i benedettini americani a fondarono una Università Cattolica a Pechino, approvata dal Governo nazionalista. Per quando riguarda le tipografie, salvo quella antica dei gesuiti di Shanghai, “Tu Shan Wan (土山湾)”, e di Xianxian, quelle dei lazzaristi di Pechino e delle Missioni Estere di Nazaret di Hongkong, in seguito si aggiunsero nuove tipografie dei missionari del Verbo Divino a Yanzhou (兖州) e a Qiangdao e dei francescani a Yantai, Hankou e altrove. Per quanto riguarda i giornali cattolici, a Pechino e a Tianjin c’erano due quotidiani fondati dai cattolici cinesi. Inotre, a Hongkong, il p. Granelli, un missionario delle Missioni Estere di Milano, aveva fondato un altro quotidiano cinese. Nel 1928, dopo la vittoria della rivoluzione nazionalista, i discorsi del fondatore della Repubblica Cinese, Sun Yatsen, che illustravano i tre principi popolari (“三民主义” Sanmin Zhuyi) erano stati raccolti in un volume che subito venne imposto come testo obbligatorio in tutte le scuole. Due padri gesuiti di Shanghai, padre Pasquale D’Elia e padre Xu Zongze (徐宗泽), e padre Tarcisio Martina, superiore della Missione degli Stimmatini in Cina, avevano tradotto o compilato questo libro di Sun Yatsen, “mettendo i suoi discorsi in rapporto ai principi della sociologia cristiana”[28]. Perciò, attraverso una serie di attività delle missioni, Costanini credette che la Chiesa cattolica fosse ormai in grado di offrire “i suoi principi, sani e solidi, per la ricostruzione della nuova civiltà cinese, e conservare nello stesso tempo tutto ciò che v’è di buono nell’antica civiltà indigena”[29].
II. La formazione del clero indigeno e dei missionari
Tra tutte le attività culturali nel campo delle Missioni, la più preziosa, la più necessaria e urgente, secondo Costantini, era la formazione spirituale ed intellettuale del clero indigeno.[30] Era anche l’ orientamento di Roma: nelle prescrizioni del Concilio di Shanghai e nella Enciclica “Rerum Ecclesiae” di Pio XI, il problema della formazione del clero indigeno aveva una posizione preminente.
1) Il compito principale del clero indigeno veniva indicato nella creazione di missioni autoctone. Alcuni sacerdoti cinesi erano già da tempo in grado di dirigere le missioni, ed anzi erano più adeguati dei missionari stranieri ad esercitare l’apostolato perchè conoscevano la lingua e i costumi del proprio popolo molto meglio dei missionari esteri. Nel vicariato apostolico di Xuanhua, padre Roteglia, delle Missioni Estere di Parma, dopo alcuni giorni di intrattenimento con i preti cinesi, riportò una ottima impressione di tale vicariato indigeno, “rimanendo colpito e edificato specialmente per lo spirito di familiarità e nel medesimo tempo di grande rispetto che constatava tra il Clero cinese e il suo amatissimo Vescovo, Monsignor Tchao”[31]. Il sacerdote cinese, Pietro Cheng (程有猷, Cheng Youyou) una volta ebbe a dire a padre Roteglia: “Noi non obbediamo al Vescovo perchèè cinese o straniero; ma obbediamo a lui, perchè esercita la potestà ricevuta da Dio”[32]. I fatti dimostravano che il clero cinese aveva una sufficiente capacità e volontà di obbedienza. Nella sua opera scientifica, circa le posizioni e i metodi missionari, Les Missions des Jésuites de France, 1928-29, Relations de Chine, anche padre Brou scrisse che “ les Missionnaires se montraient satisfaits de ces pretres chinois, qui renfor?aient ainsi leurs rangs.”[33]
Inoltre, l’istituzione di missioni indigene modificava la psicologia dei cinesi nei riguardi dell’opera di evangelizzazione, diminuendo gradualmente i pregiudizi precedenti e l’avversione verso il cattolicesimo prodotta dall’antico metodo missionario. Ad esempio, nel vicariato indigeno di Taizhou, dopo che mons. Hu Ruoshan divenne vicario apostolico, riuscì a stabilire una migliore intesa fra lui e tutte le componenti cinesi (autorità, preti, cristiani e non cristiani) con la propria personalità di pastore indigeno, ed anche grazie alle sue pie attività e alla sua ricca intelligenza.[34]
2) Per lo sviluppo di un migliore clero indigeno, è necessario anche innalzare il livello culturale dei fedeli: quanto più si crea una base cattolica consapevole e colta, tanto più i membri del clero indigeno, provenienti da tale base, danno garanzia di migliori qualità. Nei primi anni del Novecento, la qualità dei fedeli era molto bassa. Il letterato cattolico Ma Xiangbo criticò ripetutamente questo fenomeno e evidenziò che se la Chiesa avesse trascurato continuamente di promuovere la qualità dei fedeli indigeni sarebbe rimasta tagliata fuori dal movimento di rinascita della Cina[35].
Per migliorare la qualità dei fedeli indigeni, si doveva mettere mano all’educazione. Oltre alla vasta opera educativa che già si svolgeva in tutte le missioni, ed in particolare presso l’Università Aurora di Shanghai, l’Università Cattolica di Pechino e l’Istituto di alti studi industriali di Tianjin, occorrevano altri centri di cultura superiore.[36] Inoltre, bisogna organizzare sempre meglio le associazioni cattoliche e l’Associazione generale della gioventù cattolica cinese, per diffondere lo spirito missionario tra i cattolici cinesi ed aiutare la gerarchia nella propagazione della fede, nonchè per creare nei laici uno spirito di proselitismo[37].
3) Dopo la formazione di fedeli migliori, si doveva promuovere di più la formazione del clero indigeno. Nei primi anni del Novecento, il clero indigeno non raggiunse un livello superiore, anche se, nonostante ciò, esistevano casi di preti eccellenti. Di solito i missionari stranieri formavano i sacerdoti cinesi solo come propri assistenti nelle opere di apostolato, perciò il clero cinese non era in grado di dialogare con le classi colte ma, al contrario, poteva attirare alla fede solo chi apparteneva alle classi umili. Questa situazione provocava una mancanza di influenza della Chiesa cattolica in Cina. Anche Costantini notò la mancanza di cultura letteraria del clero indigeno. Il 24 febbraio 1930 a Chongqing, dopo la cerimonia di consacrazione dei due candidati vescovi, mons. Francesco Wang, proveniente dal clero di Chongqing, e mons. Paolo Wang, proveniente dal quello di Chengdu, Costantini fece un brindisi in latino durante il pranzo a cui parteciparono le più alte autorità cinesi, il Console francese e il Comandante della cannoniera francese. Mons. Francesco Wang tradusse in cinese le sue parole. Tuttavia fu poi riferito a Costantini che egli parlò in cinese volgare, mentre il Maresciallo Liu, Comandante del Corpo d’Armata di stanza a Chongqing, che fece un brindisi in cinese prima di Costantini, aveva parlato in cinese letterario. Sulla base di episodi come questo, il Delegato apostolico giudicò inadeguata la preparazione del clero cinese[38]. Del resto, già nella lettera apostolica Maximum Illud, Benedetto XV aveva criticato l’insufficienza della formazione del clero indigeno: “Insomma non si deve formare un clero indigeno quasi di classe inferiore, da essere soltanto adibito nelle mansioni secondarie, ma tale che, trovandosi all’altezza del suo sacro ministero, possa un giorno assumere egli stesso il governo di una cristianità”[39]
I sacerdoti cinesi dovevano essere ben istruiti, nella cultura letteraria cinese, soprattutto conoscendo la nuova lingua “Baihuawen (白话文)”[40], “in modo da poterla usare correttamente nel parlare e nello scrivere”[41]. Contemporaneamente essi dovevano impiegare del tempo anche nello studio del latino. Perchè la cultura letteraria può essere “come un strumento di influenza presso i pagani”[42], soprattutto presso le classi colte per propagare le verità del Vangelo. Perciò Costantini raccomandò vivamente ai vicari e agli ordinari di scegliere alcuni giovani sacerdoti indigeni o anche alcuni laici, che si distinguessero per pietà e per ingegno, per mandarli alle università, “perchè vi possano ottenere i gradi accademici”[43].
Se il clero cinese avesse avuto lo stesso livello dei propri concittadini in campo letterario e scientifico oppure ne avesse avuto uno più alto, sarebbe stato stimato o almeno rispettato dalle varie classi sociali cinesi. Così, non avrebbe avuto bisogno di nessuna protezione diplomatica e l’opera di apostolato avrebbe potuto maggiormente svilupparsi in Cina. Non a caso, i pionieri dell’indigenizzazione della Chiesa cinese, come p. Lebbe, mons. C. Costantini, Ying Lianzhi (英敛之), Ma Xiangbo, sono tutte figure di uomini letterati e colti.
Dalla tabella seguente dei vicariati apostolici indigeni nel 1933 in cui il primo Delegato Apostolico parti’ dalla Cina si potrebbe capire meglio che il successo della consacrazione dei numerosi vicari apostolici nel breve tempo(tra 1926-1933) era basato in un certo senso sulla formazione del clero indigeno promossa fortemente e intelligentemente dal C. Costanti.
Tabella dei Vicariati Apostolici indigeni in Cina (1933)[44]
Provincie | Città/ Comuni | I nomi dei Vescovi | L’anno consacrato |
Menggu蒙古 | Chifeng赤峰 | Zhao Qinghua赵庆化 | 1932 |
| Jining集宁 | Fan Heng’an樊恒安 | 1933 |
Hebei河北 | Anguo安国 | Sun Dezhen孙德桢 | 1926 |
| Zhaoxian赵县 | Zhang Bide张弼德 | 1932 |
| Baoding保定 | Zhou Jishi周济世 | 1931 |
| Xuanhua宣化 | Cheng Youyou程有猷 | 1928 |
| Yongnian永年 | Cui Shouxun崔守恂 | 1933 |
Shandong山东 | Linqing临清 | Hu Xiushen胡修身 | 1931 |
Shanxi山西 | Fenyang汾阳 | Liu Jinwen刘锦文 | 1930 |
| Hongdong洪洞 | Cheng Yutang成玉堂 | 1932 |
Shaanxi陕西 | Zhouzhi周至 | Zhang Zhinan张指南 | 1932 |
| Fengxiang凤翔 | Wang Daonan王道南 | 1933 |
Jiangsu江苏 | Haimen海门 | Zhu Kaimin朱开敏 | 1926 |
Henan河南 | Zhumadian驻马店 | Wang Bolu王伯禄 | 1933 |
Sichuan四川 | Shunqing顺庆 | Wang Wencheng王文成 | 1930 |
| Wanxian万县 | Wang Zepu王泽溥 | 1930 |
| Yazhou雅州 | Li Rongzhao李容兆 | 1930 |
Hubei湖北 | Puqi蒲圻 | Zhang Jingxiu张敬修 | 1929 |
Zheijiang浙江 | Taizhou台州 | Hu Ruoshan胡若山 | 1926 |
Guangdong广东 | Guangzhou广州 | Yang Fujue杨福爵(副) | 1931 |
1) Oltre alla formazione del clero indigeno, si doveva rafforzare la formazione delle suore indigene ed anzitutto stabilire una casa delle suore cinesi. Quando Costantini arrivò in Cina, alcune case di Suore missionarie, come le Figlie della carità, le Ausiliatrici del Purgatorio, le Missionarie Francescane di Maria, le Piccole Suore dei poveri, le Suore di S. Paolo di Chartres, già accoglievano suore indigene. Ma esistevano altri istituti religiosi femminili la cui presenza in Cina era costituita solo da suore straniere. La causa di ciò è semplice: un certo senso di superiorità razziale, con una esplicita o sottintesa presunzione, aveva ostacolato l’ammissione delle suore cinesi.[45]
C’erano anche alcune congregazioni di suore estere che sentivano il bisogno dell’aiuto delle suore cinesi, perciò facevano costituire una specie di congregazione in sott’ordine alle suore straniere, cioè “posta alla dipendenza e quasi al servizio delle suore estere”[46].
2) Nei primi anni della Delegazione Apostolica, tutte le Case religiose di suore erano sempre rette da una suora straniera. La ragione è evidente. Perchè “una casa composta di tutte suore cinesi è un piccolo dominio che sfugge in parte alla Provinciale estera. Diventerebbe una Casa cinese, con spirito cinese, che contrasterebbe con lo spirito estero delle altre Case.”[47]Di conseguenza, nonostante Pio XI avesse già nominato sei vescovi cinesi, le suore straniere non si fidavano ancora ad avere una superiora indigena.
Di fronte alla diffusione di questi difetti, Costantini pensò che si poteva scegliere tra le seguenti soluzioni: “o fare Congregazioni indigene indipendenti di diritto diocesano o creare sezioni indigene incorporate nelle Congregazioni estere a parità di diritti. In questo secondo caso si sarebbe trattato di un ramo o meglio di una provincia indigena che avrebbe goduto di parità giuridica con le province estere. Ma, prima di costituire un ramo o una provincia, le cinesi e le straniere dovevano vivere frammiste a parità di diritti – come per gli uomini. Ciò concorda con la soluzione classica delle vocazioni indigene accettate a parità di diritto nelle Congregazioni estere.”[48]
3) Per essere capaci di assumere incarichi di responsabilità e dirigere le scuole, le suore indigene dovevano ricevere una formazione completa. Inoltre, “è necessario che le Suore, che si dedicano agli ospedali o ai dispensari, possiedano il diploma di infermiere”.[49]
Costantini pensava che la cultura del missionario fosse duplice, remota e prossima. La cultura remota è “quella che il Missionario acquista in patria, e consiste essenzialmente nelle scienze sacre e profane comuni a tutti i Preti”[50]. Inoltre, doveva apprendere i fondamenti della missionologia, le lingue più diffuse come il francese e l’inglese ed elementi della sociologia cristiana nonché conoscere l’Azione Cattolica, il cui ruolo nella società, soprattutto per l’affacciarsi della questione sociale cinese, era di grande interesse in quel tempo.[51]
La cultura prossima del missionario è “quella che egli acquista nelle Missioni. (…) E’ evidente che la parte primordiale di questa cultura consiste nell’apprendere bene la difficile lingua cinese”[52]. La conoscenza scientifica della lingua cinese sarà molto utile per il missionario, non solo riguardo alla lingua parlata, ma anche riguardo alla conoscenza della lingua scritta, in modo da potere leggere, ad esempio, i giornali cinesi ecc.
“Chi non conosce a perfezione la lingua nazionale non ha modo di avere contatti con i pagani, ma neanche con molti cristiani, che rimangono così privi di quel vantaggio che ne sarebbe derivato da tali contatti. Chi invece conosce bene la lingua nazionale o regionale attira presso di sè cristiani e pagani, attratti dal desiderio di imparare e di coltivare lo spirito con nuova erudizione.”[53]L’opinione di mons. A. Fourquet, vicario apostolico di Canton, evidenziò chiaramente l’importanza, per i missionari esteri, di apprendere bene la lingua cinese, soprattutto in caso di mancanza di clero indigeno. Nei primi anni del Novecento, se i missionari stranieri fossero diventati “i missionari cinesi”, sarebbe stato molto utile per l’opera di apostolato.
Inoltre, la padronanza della lingua cinese, soprattutto quella scritta, “aiuta immensamente il Missionario a penetrare nello spirito del popolo cinese, a formarsi un giusto concetto della sua coltura, ad apprezzare il suo genio letterario, la sua arte, e in fine a stabilire una più intima comunicazione spirituale, realizzando le condizioni più propizie per la predicazione del Vangelo”[54].
Nei primi anni del Novecento, era molto evidente che ai missionari stranieri generalmente mancava uno studio serio ed accurato della lingua cinese. Questo fenomeno era il risultato della mancanza di una formazione scientifica nella lingua nazionale.
Alcune congregazioni come la Compagnia di Gesù, il Pontificio Istituto delle Missioni Estere di Milano, l’Ordine dei Francescani, la Società del Verbo Divino si erano accorti molto di presto questa neccessità e aprirono case o istituti dove i giovani missionari trascorrevano un anno dedicandosi esclusivamente allo studio della lingua cinese.
Nella settimana missionologica di Lovanio del 1929, padre Celestino Lu Zhengxiang illustrò la grande importanza della cultura della lingua cinese in rapporto all’evangelizzazione della Cina affermando che se l’opera della evangelizzazione non otteneva progressi più ampi: “C’est que la société chinoise, le monde cultivé et lettré, n’a pas ancore été attaint”[55]. E’ evidente che, qualora i missionari avessero voluto entrare in contatto con la classe intellettuale e penetrare la società cinese profondamente, avrebbero dovuto impadronirsi della cultura cinese, nonostante fosse molto difficile.
III. L’adattamento alla cultura cinese
I)Le ragioni dell’adattamento alla cultura cinese
L’indigenizzazione della Chiesa è un problema antico nella storia del cristianesimo. Quando la Chiesa primitiva entrò nel mondo ellenico dalla cultura ebraica della Palestina, si grecizzò velocemente, entrò poi nell’impero romano e si romanizzò. Nonostante questo metodo avesse incontrato ostacoli fin dall’inizio, restò un principio fondamentale per sempre. Se il cristianesimo riguardava solo valori condivisibili dal popolo europeo, tale fede ovviamente non avrebbe la possibilità di diffusione in tutto il mondo. Il vero cristianesimo è invece universale, cioè la sostanza del cristianesimo non solo dovrebbe poter essere assorbita dalle varie culture, ma anche si dovrebbe sviluppare ulteriormente all’interno delle culture in cui si radica. Di conseguenza, l’adattamento alle culture indigene e la creazione della Chiesa locale risponderebbero proprio alla vera natura cristianesimo.
In base a questo principio, Costantini citava più volte il seguente pensiero di un protestante cinese sull’adattamento del cristianesimo in Cina: “Senza cambiare nulla di ciò che forma la sua forza vitale, il Cristianesimo è passato successivamente, attraverso diverse forme. Esso fu a sua volta ebraico, greco, romano. Esso rivestì poscia diverse forme europee e americane. Perchè non rivestirebbe ora una forma cinese? Le forme ch’esso prese fino adesso, furono delle forme di cultura occidentale. Noi possediamo la nostra cultura orientale. Questa cultura è la nostra, e non è opposta al Vangelo. E allora perchè non daremo noi la forma cinese al nostro Cristianesimo? Perchè ciò che è riuscito altrove, non riuscirà presso di noi?”[56]
Tale pensiero venne espresso chiaramente e ufficialmente anche nella prima enciclica Summi Pontificatus in data 20 ottobre 1939 da Pio XII: “il rispetto alla cultura e ai costumi dei diversi popoli, purché non si oppongano ai doveri derivanti all’umanità dall’unità di origine e comune destinazione, è la stella polare che deve guidare i Missionari”.
Purtroppo il cristianesimo venne spesso identificato dai missionari con la cultura occidentale: essi tentavano di trapiantare la loro cultura, costumi e mentalità nelle missioni, perciò inevitabilmente avvennero scontri. Questo metodo missionario che era contro un principio fondamentale del cristianesimo creò tanti ostacoli nella conversione di diversi popoli.
Per rettificare la deviazione di tale metodo missionario, Pio XII ribadì questo alto principio riguardante l’adattamento durante l’udienza alle Opere missionarie, il 24 giugno 1944: “Il Missionario non ha l’ufficio di trapiantare la civiltà specificatamente europea nelle terre di Missione, sibbene di rendere quei popoli, che vantano talora culture millenarie, pronti ed atti ad accogliere e ad assimilarsi quegli elementi di vita e di costumanza cristiana che facilmente e naturalmente si accordano con ogni sana civiltà, e conferiscono a questa la piena capacità e forza di assicurare e garantire la dignità e la felicità umana. I Cattolici indigeni devono essere veramente membri della famiglia di Dio e cittadini del suo regno, senza però cessare di rimanere cittadini anche della loro patria terrena.”[57]
Però, nella cultura pagana ci sono di solito certi elementi che si oppongono ai principi cristiani, così si deve fare una distinzione fra la fede e la cultura, cristianizzando quanto nella cultura indigena dei popoli di antica civiltà c’è di buono o indifferente[58], mentre abbandonando ciò che c’è di cattivo, di superstizioso o di ostile.
Quindi Costantini evidenziò che era sempre da tener presente questo principio circa il metodo missionologico dell’adattamento: “non è l’idea cristiana che deve adattarsi alle formule del pensiero e dei costumi pagani, ma sono le formule del pensiero e dei costumi pagani che devono adattarsi ad esprimere le verità della Fede. E’ facile cristianizzare formule o costumi indifferenti. Più difficile è cristianizzare formule e riti pagani;”[59]
Questo principio è anche applicabile nell’adattamento alla cultura cinese. Ma il problema è stabilire quali elementi della cultura cinese possano adattarsi alle verità della fede e quali invece debbano essere rifiutati. A questo proposito Matteo Ricci diede il suo parere: il buddismo ed il taoismo erano perfettamente inconciliabili con la fede cristiana, quindi si doveva tracciare una netta linea di demarcazione con queste due religioni; mentre si poteva diffondere il cattolicesimo con l’aiuto del confucianesimo che costituisce principalmente la morale della società cinese. Nei primi anni del Novecento, il lavoro per l’adattamento della Chiesa cattolica alla cultura cinese si svolse generalmente seguendo questa strada.
II ) L’accettazione del pensiero confuciano e taoistico
Dopo una lunga ricerca e osservazione, il confucianesimo venne ritenuto da Costantini l’elemento più adattabilile alla fede cristiana nella cultura cinese. Anche se nei primi anni del Novecento le correnti di pensiero come i movimenti contro la tradizione e contro il confucianesimo erano al loro culmine, le persone che spinsero per l’indigenizzazione della Chiesa cattolica in Cina ritenevano il confucianesimo ancora una forza indispensabile che manteneva la morale e stabiliva l’ordine sociale. Quando il 7 giugno 1925, Constantini visitò la tomba di Confucio a Qufu (曲阜), egli credeva decisamente che Confucio fosse ancora il rappresentante dell’antico patrimonio culturale ed etico della Cina: “Confucio, ritenuto dai nazionalisti come il rappresentante tipico ed in parte responsabile della cristallizzazione e decadenza della Cina, fu maltrattato dalla recente rivoluzione”, ma, “dopo la ebbrezza dei moti rivoluzionari e le disillusioni politiche e sociali, l’immagine di Confucio si risolleva nell’animo dei cinesi, e riscuote, non più l’omaggio ufficiale, ma il devoto rispetto delle persone colte, che vedono in lui il genio della stirpe e il rappresentante dell’antico patrimonio culturale ed etico della Cina”[60].
Un studioso cattolico, Tomaso ZENG Mian (曾勉) sperava in un suo noto articolo che “On ne peut que souhaiter l’apparition das l’Eglise d’un grand théologien qui fasse pour Confucius ce que saint Thomas d’Aquin a fait pour Aristotele”.[61] Se questo auspicio si fosse avverato, si sarebbe avuta un’interpretazione brillante della fede cristiana tramite le opere confuciane.
Costantini tentava di interpretare “il vero Io” e “il falso Io” con il pensiero di Mencio (孟子) sull’anima: “Il vero Io dell’uomo è la sua anima immortale, il retto, sincero e leale spirito, in cui può essere riposta piena fiducia. Mencio parla della rettitudine dell’anima all’aurora, dopo una notte di riposo. Egli ci dice che durante la giornata si altera la rettitudine dell’anima per la dissipazione e distrazione della mente rivolta alla ricerca dei beni materiali. L’anima, così distratta, crede d’essere essa stessa alcunché di diverso da quanto è realmente. Pensa differentemente da quanto dovrebbe pensare. E così crea un falso Io, nel quale noi non dobbiamo porre nessuna fiducia. ‘Il cuore o la mente, dice Mencio, va e viene ad ogni momento, senza che abbia la coscienza di donde venga e di dove vada’. Perciò per scoprire il vero Io e per distinguerlo dal falso Io dobbiamo rientrare in noi stessi mediante la riflessione, in una calma solitudine dello spirito, del tutto lontana da esterne dissipazioni.”[62]
Inoltre, Costantini spiegò anche il significato dei “doveri che ognuno ha verso il suo prossimo” con le parole di Confucio: “I doveri che ognuno ha verso il suo prossimo, possono riassumersi nelle belle parole di Confucio: ‘Obbedire a mio padre, come io vorrei che mio figlio obbedisse a me stesso; servire al mio sovrano, cioè all’autorità dello Stato, sotto qualsiasi forma, come io vorrei essere servito da chi è sotto ai miei ordini; comportarmi con mio fratello maggiore come io vorrei che mio fratello minore trattasse con me; trattare con i miei amici come vorrei che i miei amici trattassero con me’. ”[63]
Egli ritenne che alcune posizioni di Confucio erano perfino uguali o molto simili alle parole di Gesù Cristo. Ad esempio, quando Confucio riassunse gli obblighi verso il prossimo, si espresse con queste famose parole: “Non facciamo agli altri ciò che non desideriamo sia fatto a noi”, mentre Gesù ha reso perfetta questa massima col trasformare un obbligo negativo in un atto positivo: “Facciamo agli altri ciò che vogliamo gli altri facciano a noi”. La differenza tra Confucio e Gesù sarebbe – secondo l’interpretazione di Costantini – che Gesù “ne diede l’alto motivo, dicendo che siamo tutti fratelli, perchè tutti figli di un solo Padre, che è nel cielo, cioè Dio.”[64]
L’Abate benedettino, dom Lu Zhengxiang andò ancora più avanti e fece un confronto interessante e profondo tra il pensiero di S. Giovanni e il pensiero di Confucio e di Lao Zi (老子) : “Du point de vue littéraire, la pensée de Saint Jean, telle qu’elle s’exprime dans son style à lui, est une pensée concentrique, à l’instar de la pensée et du style chinois, qui s’efforcent de saisir dans son entièreté, ‘la vivante réalité’. Devant ‘le mystère du Ciel’ Laotse a pu déterniner, avec un très grand respect et une profonde objectivité, qu’en Dieu ineffable, il y a le Tao. Raison primordiale supreme, intelligence directrice souveraine. La conception qu’il en donne est d’une portée pour le moins égale, sinon, supérieure, au concept que Platon exprimait par le terme ‘Logos’.”[65]
I suddetti fatti dimostrano che alcuni pionieri accettarono attivamente i pensieri confuciani facendo progredire il movimento dell’indigenizzazione della Chiesa cattolica in Cina nei primi anni del Novecento.
III) I riti e costumi cinesi
Nei primi anni del Novecento, i riti della Chiesa cattolica in Cina diventarono un grande ostacolo per i fedeli, soprattutto la liturgia in latino: poichè la maggior parte dei fedeli non capiva nulla della lingua latina, essi non capivano nulla della sacra liturgia. In realtà, il francescano Giovanni da Monte Corvino, arcivescovo di Pechino e Metropolita di tutta la Cina, tradusse già il Salterio nella lingua locale in 1305. [66]Naturalmente questo atto non venne approvato ufficialmente alla S. Sede.
Successivamente, con il documento del S. Uffizio datato 12 aprile 1949, la Sacra Congregazione aveva già permesso di usare la lingua cinese nella sacra liturgia per incentivare i progressi dell’evangelizzazione: “Per quel che riguarda poi la celebrazione della santa Messa, si potrà compilare la redazione di un Messale per la Nazione cinese, nel quale siano stampate in lingua cinese letteraria tutte le parti della Messa che vanno dal principio di essa all’inizio del Canone e dal Postcommunio fino al termine della Messa.”[67]
Ma il centro del problema dei riti cinesi fu stabilire se tali riti si adattavano alla fede cristiana, soprattutto il culto degli antenati e di Confucio. Costantini pensò personalmente che questi culti avessero già perso il loro carattere religioso, avendo quindi solo un significato civile.[68] Però in quel tempo la famosa “questione dei riti cinesi (礼仪之争)” non era ancora risolta, quindi i fedeli cinesi erano costretti ad obbedire alla proibizione della S. Sede riguardo il culto degli antenati e di Confucio. Tale situazione suscitava anche i fastidio dei pagani cinesi verso la Chiesa cattolica.
Nonostante la maggior parte dei riti pagani non possa essere tollerato dalla Chiesa cattolica, come disse una volta p. Launay, “se ne trovano tuttavia alcuni che si possono cambiare, bisogna quindi farne una scelta”[69]. Personalmente Costantini mirava ad adottare in Cina le forme esterne di culto che già la Cina da millenni possedeva; bisognava solo sostituire gli idoli falsi con le immagini della religione cattolica.[70]
Egli pose una serie di domande profonde e diede sapienti consigli circa l’adattamento ai riti e costumi cinesi. Per esempio, in Cina, il colore del lutto è in generale il bianco, mentre, i missionari imposero il nero, secondo il costume occidentale. “Perchè aggiungere impedimenti alla conversione? Perchè non facciamo quello che gli Apostoli fecero a Roma?”[71] Poi, nel vestiario liturgico cinese c’erano splendide vesti, “che si avvicinano per il taglio e il colore alle nostre vesti liturgiche: perchè non facciamo una sapiente e prudente scelta per preparare un vestiario liturgico romano-cinese?”[72]
Questo metodo missionario d’adattamento ai costumi e ai riti cinesi, fece sentire il popolo cinese più accettato, ed evitò il pregiudizio diffuso secondo cui la religione cattolica era considerata una religione straniera, di conseguenza, tolse alcuni ostacoli all’evangelizzazione della Cina.
IV)L’arte indigena
Un aspetto particolarmente curato da Costantini fu l’adattamento in campo culturale e artistico. Egli fu uno dei maggiori sostenitori dell’arte cristiana autoctona. Secondo Costantini, attraverso l’arte si doveva cristianizzare non europeizzare, perciò si dovevano adottare forme artistiche locali.
Constantini aveva molta considerazione per il ruolo dell’arte nella storia umana: “Le vicende politiche possono cambiare l’aspetto di un paese; la arte conserva contro tutte le caducità la grandezza e la maestà di una idea e di una potenza. L’arte non è nè pagana, nè cristiana: è la più alta espressione del genio di un popolo e trae il suo significato dall’idea che la ispira.”[73]
Nella storia della Chiesa cinese, non mancava la combinazione tra l’arte cattolica e le immagini dell’arte tradizionale cinese. Ad esempio, durante la dinastia Yuan, sulle sculture in pietra delle maestà cristiane a Quanzhou, vennero eseguiti molti disegni di fiori di loto; mentre durante la dinastia Ming e Qing, missionari come Adam Schall von Bell, G. Castiglione e Attiret realizzarono molte pitture fondendo lo stile occitentale e quello cinese insieme.[74]
Però, quando Constantini arrivò in Cina, egli trovò che la Chiesa cattolica non adottava la veste dell’arte tradizionale cinese. Senza dubbio, a Constantini sarebbe sembrato un grave errore. Costantini criticò acutamente le chiese di Pechino che adottavano lo stile occidentale: le quattro chiese principali di Pechino: Beitang (北堂), Xitang (西堂), Nantang (南堂) e Dongtang (东堂) “sono di stile occidentale, costruite da Missionari, ma non fanno onore all’arte. Si è ripetuto a Pechino l’errore che si commette in quasi tutte le Missioni: non si dà la dovuta importanza alla architettura, credendo che un Missionario dilettante d’arte o pratico di costruzioni possa fare da architetto, senza pensare che l’architettura è una grande e severa arte, e che deve essere trattata con rispetto e competenza. Le chiese innalzano le loro facciate di tipo europeo-ibrido (non si può parlare di stile) in stridente contrasto col nobile volto di Pechino, e proclamano il loro carattere straniero, collegandosi all’aspetto eclettico del quartiere delle Legazioni estere.”[75]
La stessa critica si mostrò anche alla nuova Chiesa della Prefettura Apostolica di Puqi quando, nel marzo 1930, p. Andrea Shu della stessa Prefettura, la denunciò a Costantini.[76]
Nel 1923, Costantini scrisse una lettera sollevando il problema dell’arte missionaria e auspicando che la Chiesa cattolica abbandonasse le forme occidentali per assumere la bella veste cinese. Nella lettera, egli diceva:
a) “l’arte occidentale in Cina rappresenta un errore di stile”;
b) “Il carattere forestiero dell’arte concorre a mantenere il diffuso pregiudizio che la religione cattolica è considerata una religione straniera”;
c) “La grande tradizione dell’arte cristiana insegna ad adottare lo stile dei diversi luoghi”;
d)“L’arte cinese offre varie e belle possibilità”.[77]
Costantini riteneva che l’arte dell’estremo oriente, specialmente la pittura, “può dirsi veramente preparata al cristianesimo. Mentre l’arte greco-romana si ispira alle belle forme del corpo umano, l’arte dell’estremo oriente si ispira a un concetto ideale. Spiritualizza non solo le persone, ma anche il paesaggio. L’artista cerca di esprimere per mezzo della forma visibile, spesso convenzionale, l’essenza, la vita segreta delle cose”[78].
Per promuovere l’arte cinese in seno alla Chiesa, Costantini invitò una artista cinese Chen Yuandu (陈缘督) a realizzare il suo progetto. Dopo che conobbe il pittore Chen Yuandu ad una mostra personale nel 1929 a Pechino, Costantini invitò il pittore alla Delegazione Apostolica e gli parlò della Madonna, gli fece leggere i Vangeli, gli mostrò qualche pittura dei primitivi italiani e di altri buoni artisti cristiani. Alcuni giorni dopo, il signor Chen portò un pannello di seta con la Vergine che adora il Bambino. Fin da quel giorno, “Questa deliziosa immagine cinese costituisce il punto di partenza della nuova pittura cristiana orientale e fece il giro di tutte le riviste illustrate missionarie.”[79] Pochi anni dopo, nella Pentecoste del 1932, il pittore Chen Yuandu venne battezzato da Costantini, prendendo il nome di Luca Chen. Il battesimo di Chen Yuandu fu vissuto come la Pentecoste dell’arte della Chiesa cinese[80]. Egli fu in seguito nominato professore d’arte all’Università cattolica di Pechino e creò intorno a sé una scuola di pittori cristiani: i suoi allievi come Wang Suda (王肃达), Lu Hongnian (陆鸿年), Hua Lujia (华路加), Li Mingyuan (李鸣远) e Xu Zhihua (徐志华) divennero raffinati pittori.
Costantini diede importanza anche all’indigenizzazione della architettura cattolica. Nel 1925, egli invitò l’artista benedettino padre Adalberto Gresnigt a venire in Cina. Gresnigt penetrò nello spirito dell’arte cinese e fece il progetto e diresse la costruzione della Università cattolica di Pechino, dei Seminari regionali di Hongkong e Kaifeng, delle Chiese di Anguo (安国) e dei Discepoli del Signore di Xuanhua, congregazione fondata da Constantini stesso. Indubbiamente queste opere rivelano un rinascimento cristiano della vecchia architettura cinese.[81]
Il concetto d’arte di Costantini è una parte organica della sua mentalità del metodo d’adattamento, il suo punto d’appoggio, è proprio come egli ha detto in un suo libro: “la Chiesa, gelosamente rispettosa dei diritti, del genio e della coltura di ciascun popolo, non ha disegni imperialistici, non persegue scopi politici ed economici. Essa non vuole snazionalizzare i Cinesi; anzi essa costituisce la più sicura forza per conversare, come è avvenuto nell’impero romano, quanto vi è di buono nell’antica civiltà cinese.”[82]Queste parole, contengono ancor oggi una sapienza da consigliare.
[1]A.E.S., Cina-Giappone, cit., il rapporto N. 291/26 di Celso Costantini al Cardinale Pietro Gasparri, Prefetto di Segretario di Stato, POS. 20 P.O., FASC. 30. Dal settembre 2004 l’Archivio della ex Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari (oggi Archivio della Seconda Sezione della Segreteria di Stato, Rapporti con gli Stati) si consulta in Archivio Vaticano. In luogo della vecchia abbreviazione AA.EE.SS., si usa ora semplicemente A.E.S., inoltre, POS. significa posto, P.O. e’ la abbreviazione de periodo, FASC. significa invece fascicolo.
[2] Ibid, cit. il Rapporto N. 96/26 del Delegato Apostolico in data 12 febbraio 1926 alla Segretario di Stato, Card. P. Gasparri, POS. 7, P. O., FASC. 21-25.
[3]Archivio de Propaganda Fide, Nuove Serie 1926-1928, cit. il rapporto di Costantini circa le attuali condizioni della Chiesa in Cina in data marzo 1926, volume 899, Rub. 21/1-21/2.
[4]A.E.S., Cina-Giappone, cit.,il Rapporto di C. Costantini al Card. Van Rossum, Prefetto della S. C. de Prop. Fide, Pos. 30 P.O., Fasc. 44, in data 25 settembre 1928, pp. 73r-74v.
[5]Si veda Celso Costantini, Il problema della coltura missionaria e la Cina d’oggi (II), in “Vita e Pensiero”, anno XVII, fascicolo VII, Luglio 1931, p.316.
[6]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933), Memorie di fatti edi idee, vol. I, Unione Missionaria del Clero, Roma 1948, pp. 483-484.
[7]Celso Costantini, Il problema della coltura missionaria e la Cina d’oggi (1), in “Vita e Pensiero”, anno XVII, fascicolo VI, Giugno 1931, p. 316.
[8]Ivi.
[9]Ivi.
[10]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina(1922-1933), Memorie di fatti e di idee, vol. I, cit., p. 216.
[11]Celso Costantini, Il problema della coltura missionaria e la Cina d’oggi (1), cit., p. 316.
[12] “Nel 1911 la Cina aveva ottenuto un regime repubblicano ed iniziava uno sforzo di unificazione nazionale e di democratizzazione, per scrollarsi di dosso il peso del dominio politico ed economico delle potenze occidentali. Il programma veniva avanzato soprattutto dal leader della nuova Cina: Sun Yatsen (孙中山Sun Yixian). Ma il popolo cinese – un corpo gigantesco di 400 milioni di persone, prostrato e fiaccato dal colonialismo occidentale e dall’inettitudine degli ultimi imperatori della dinastia manciù, e diviso ancora in gruppi etnici non ben amalgamati – non riuscì a risollevarsi unitariamente e facilmente. Dal 1916 i cosiddetti signori della guerra, con i loro eserciti, cominciarono a spartirsi il territorio cinese al nord senza stroncare, anzi acutizzandola, la piaga del colonialismo economico. Per contro al sud, dove si era concentrato il governo repubblicano del Guomindang, si avvertivano sempre di più i problemi sociali e l’influenza della vicina rivoluzione sovietica: con la morte di Sun Yatsen nel 1925, anche in seno a questo governo, si creò una spaccatura tra nazionalisti e comunisti. Il nuovo leader repubblicano, il nazionalista Jiang Jieshi (Chiang Kai-shek), non fu in grado di suturare questa frattura, che anzi si allargò nel triennio 1926-1928 proprio mentre veniva ottenuta una maggiore unificazione con il nord della Cina. Nemmeno nel 1931, di fronte all’aggressione nipponica nella Manciuria, la tensione tra nazionalisti e comunisti venne superata. Nel 1934 iniziava la lunga marcia di Mao Zedong”, Ruggero Simonato, Celso Costantini tra rinnovamento cattolico in Italia e le nuove missioni in Cina, Edizioni Concordia , Pordenone 1985., p. 118.
[13]Si veda Celso Costantini, La Crisi cinese e il Cattolicesimo, Editrice Studium, Roma 1931, p. 15.
[14]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933). Memorie di fatti e di idee, vol. II, cit., pp. 99-100.
[15]Ibid, p. 10.
[16]Ibid, p. 99.
[17]Ibid, p. 100.
[18]Ibid, p. 313.
[19]Ibid, p. 365.
[20]Si veda Celso Costantini, Il problema della coltura missionaria e la Cina d’oggi (1I), in “Vita e Pensiero”, anno XVI, fascicolo VII, Luglio 1931, p. 392.
[21]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933). Memorie di fatti e di idee, vol. II, cit., p. 30.
[22]Ibid, pp. 31-32. Tuttavia va sottolineato che i missionari francesi ebbero verso il messaggio papale lo stesso atteggiamento già assunto di fronte alla Maximum illud: tale messaggio non fu mai pubblicato in traduzione francese nei loro Bollettini.
[23]Si veda Elisa Giunipero, La Chiesa cattolica e la Cina. Dalla rivolta dei Boxer al Concilio Vaticano II, in Agostino Giovagnoli (a cura di), La Chiesa e le culture, Missioni cattoliche e “scontro di civiltà”, Guerini e Associati, Milano 2005, p. 119.
[24]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933). Memorie di fatti e di idee, vol. II, cit., p. 254.
[25]Ibid. In un’altra intervista, fatta dall’Agenzia Fides nel 1931, Costantini ribadì gli stessi concetti. Si veda Ruggero Simonato, Celso Costantini tra rinnovamento cattolico in Italia e le nuove missioni in Cina, cit., pp. 183-185; nonché “《刚总主教论中国现状及教务情形》Gangzongzhujiao lun Zhongguo xianzhuang ji jiaowu qingxing, L’Arcivescovo Celso Costantini esprime la propria opinione sulla situazione della Cina e delle missioni cattoliche”, in 《圣教杂志Sheng Jiao Za Zhi, La Rivista della Santa Chiesa》, fascicolo VII, marzo 1931, pp. 169-171.
[26]Si veda Celso Costantini, Il problema della coltura missionaria e la Cina d’oggi (1I), cit., p. 392.
[27]Ibid., p. 393. La Commissione per la stampa e la scuola fu costituita ai primi del 1928, Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933). Memorie difatti e di idee , vol. II, cit., p. 1.
[28]Riguardo a tutte le conquiste sopraccennate si veda Celso Costantini, Il problema della coltura missionaria e la Cina d’oggi (1I), cit., pp. 392-394.
[29]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933). Memorie di fatti e di idee, vol. II, cit., p. 254.
[30]Si veda Celso Costantini, Il problema della coltura missionaria e la Cina d’oggi (II), cit., p. 316.
[31]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933). Memorie di fatti e di idee,vol. I, cit., p. 450.
[32]Ivi.
[33] Si veda Celso Costantini, Ultime Foglie. Ricordi e Pensieri, Unione Missionaria del Clero in Italia, Roma 1954, p. 75.
[34]Ibid., pp. 92-93.
[35]Zhu Weizheng (朱维铮,a cura di), “《马相伯文集 Ma Xiangbo Wenji》, Antologia di Mang Xiangbo”, cit., p. 276., Fudan University press, Shanghai 1996.
[36]Si veda Celso Costantini, Il problema della coltura missionaria e la Cina d’oggi (II), cit., p. 398.
[37]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933). Memorie di fatti e di idee, vol. II, cit., p. 26.
[38]Ibid., pp. 156-157.
[39]Si veda Benedetto XV, “Maximum Illud”, in “Enchiridion della Chiesa Missionaria”, Edizioni Dehoniane, Bologna 1997, p. 159.
[40]Dopo la nascita della Repubblica nazionalista, si diffuse in Cina un nuovo linguaggio chiamato “Baihuawen (白话文)”, in sostituzione del linguaggio classico, chiamato “Wenyanwen (文言文)”. Come scrisse lo stesso Costantini, “i nazionalisti e i bolscevichi abbandonarono lo stile classico, facendo la loro propaganda nella nuova lingua, che utilizza i vecchi segni grafici ma li adopera nel senso corrente del linguaggio parlato, o più prossimo al linguaggio parlato.” Inoltre il governo nazionalista “ha reso obbligatorio nelle scuole l’insegnamento della lingua moderna”. Si veda Celso Costantini, Il problema della coltura missionaria e la Cina d’oggi (II), cit., p. 397.
[41]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933). Memorie di fatti e di idee, vol. II, cit., p. 184.
[42]Celso Costantini, Il problema della coltura missionaria e la Cina d’oggi (II), cit., p. 396.
[43]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933). Memorie di fatti e di idee, vol. II, cit., p. 186.
[44]Si veda “《圣教杂志Shengjiao zazhi》, Rivista della Chiesa Sacra”, n.8, agosto 1935, pp. 450-459)
[45] Si veda Celso Costantini, Ultime Foglie. Ricordi e Pensieri, cit., pp. 63-64.
[46]Ibid., p. 63.
[47]Ibid., p. 64.
[48]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933). Memorie di fatti e di idee, vol. I, cit., p. 360.
[49] Si veda Celso Costantini, Ultime Foglie. Ricordi e Pensieri, cit., p. 64.
[50]Celso Costantini, Il problema della coltura missionaria e la Cina d’oggi (II), cit., p. 394.
[51]Ivi.
[52]Ibid., pp. 394-395.
[53]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933). Memorie di fatti e di idee, vol. II, cit., p. 41.
[54]Celso Costantini, Il problema della coltura missionaria e la Cina d’oggi (II), cit., p. 395.
[55]Ivi.
[56]“Protestant” in Chinese Recorder, dicembre 1925. Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933). Memorie di fatti e di idee , vol. I, cit., pp. 287-288 e vol. II, p. 348.
[57]Si veda Celso Costantini, In Difesa dell’Arte Cristiana, Edizioni Beatrice D’Este, Milano 1958, pp. 159-160.
[58]Si veda Celso Costantini, Ultime Foglie. Ricordi e Pensieri, cit., p. 297.
[59]Ibid., p. 397.
[60]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina(1922-1933), Memorie di fatti e di idee ,Volume I, Unione Missionaria del Clero in Italia, Roma 1954, p. 242.
[61]Si veda Celso Costantini, Ultime Foglie. Ricordi e Pensieri, cit., p. 12.
[62]Si veda Celso Costantini, con i missionari in Cina(1922-1933), Memorie di fatti e di idee ,Vol. I, cit., pp. 455-457.
[63]Ibid., pp. 455-456.
[64]Ibid., p. 456.
[65]Si veda Celso Costantini, Ultime Foglie. Ricordi e Pensieri, cit., p.343.
[66]Si veda Celso Costantini, Il problema della coltura missionaria e la Cina d’oggi (II), in “Vita e Pensiero”, anno XVII, fascicolo VII, Luglio 1931, p.319.
[67] Si veda Celso Costantini, Ultime Foglie. Ricordi e Pensieri, cit., pp. 376-377.
[68]Si veda Chen Fangzhong, “《民国初年中国天主教的本地化运动Minguo chunian tianzhujiao de bendihua yundong》, Il movimento dell’indigenizzazione della Chiesa Cattolica all’inizio della Cina nazionale”, tesi di master presso l’Istituto di storia dell’Università Politica Statale di Taiwan, giugno 1991, p. 239.
[69]Si veda Celso Costantini, Ultime Foglie. Ricordi e Pensieri, cit., p. 184.
[70]Si veda Celso Costantini, con i missionari in Cina(1922-1933), Memorie di fatti e di idee ,Volume II, cit., pp. 158-159.
[71]Ibid., p. 159.
[72]Ivi.
[73] Si veda Celso Costantini, Ultime Foglie. Ricordi e Pensieri, cit., pp. 81-82.
[74]Gu Weimin , “《宗座代表刚恒毅对于公教艺术本土化的倡导 Zongzuo daibiao Gang Hengyi duiyu gongjiao yishu bentuhua de changdao》, Il delegato apsotolico Celso Costantini promuovò l’indigenizzazione dell’arte cattolica”, inedito.
[75]Si veda Celso Costantini, Ultime Foglie. Ricordi e Pensieri, cit., p. 29
[76]Si veda Celso Costantini, Con i missionari in Cina (1922-1933), Memorie di fatti e di idee ,Volume II. cit., p.163.
[77]Si veda Celso Costantini, “In Difesa dell’Arte Cristiana”, cit., p.162.
[78]Ibid., p 164.
[79]Ibid., p. 165.
[80]Gu Weimin , “《宗座代表刚恒毅对于公教艺术本土化的倡导 Zongzuo daibiao Gang Hengyi duiyu gongjiao yishu bentuhua de changdao》, Il delegato apostolico Celso Costantini promosse l’indigenizzazione dell’arte cattolica”, inedito.
[81]Si veda Celso Costantini, “In Difesa dell’Arte Cristiana”, cit., pp. 164-165.
[82]Celso Costantini, “Il Crollo dell’antica Cina”, Istituto per il Medio ed Estremo Orinete, Roma 1934, p. 42.